0 prodotti

€ 0,00

24/09/2021

Le fake news non aumentano i no-vax

Livio Gigliuto, Vicepresidente di Istituto Piepoli, fa il punto sul fenomeno delle fake news e dei no-vax per Agenda Digitale, diretta da Alessandro Longo.

Non sono le fake news a far ingrossare le fila dei no vax: pur essendo un problema importante, la disinformazione ha come effetto principale quello di polarizzare le posizioni di favorevoli e contrari ed esacerbare il confronto tra le due parti, ma non modifica le opinioni.

Per capire meglio cosa sta succedendo nell’opinione pubblica italiana (e non solo, una situazione simile è riscontrabile anche negli USA, in cui alcuni Stati non raggiungono il 40% di copertura vaccinale, e in quasi tutti i Paesi europei), è utile però fare un passo indietro, e tornare ai primi, terribili mesi di pandemia.

A quasi 9 mesi dall’inizio ufficiale della campagna vaccinale anti-covid in Italia, superati i primi mesi dominati dalla scarsità di dosi a disposizione e della difficoltà nell’organizzare la logistica distributiva, ad oggi circa il 60% della popolazione italiana ha ricevuto entrambe le dosi del siero e circa il 70% ne ha ricevuta almeno una.

Con la seconda ondata, e la certificazione del fatto che questa non sarebbe stata una breve parentesi nella vita del Pianeta, la speranza che la scienza potesse trovare una soluzione che non passasse solo attraverso dolorose restrizioni alla vita sociale si è fatta più pressante.

Anche per questo, a fine novembre 2020, quando nel nostro Paese è stato annunciato l’avvio della campagna, più di 7 italiani su 10 si dicevano già disponibili a ricevere il vaccino. D’altro canto, già allora rilevavamo un 15% di poco propensi, un 6% di incerti e uno zoccolo duro, che raggiungeva il 9%, di italiani apertamente contrari alla vaccinazione.

Una quota importante di contrari e incerti esisteva già, quindi, in quei mesi, quando non si era ancora avviata la macchina di produzione di notizie false, e non erano ancora emersi i (pochi ma dolorosi) casi avversi, con particolare rilievo al caso Astrazeneca.

Da allora, la quota di italiani disponibili alla vaccinazione è andata in continuo crescendo, fino a toccare quasi quota 90% a marzo 2021. Il trend di crescita della propensione a vaccinarsi non ha quasi mai subìto fasi di arresto, ad eccezione, appunto, di una lieve flessione coincidente al manifestarsi di eventi avversi, che di solito hanno determinato un calo di qualche punto percentuale poi subito riassorbito nelle settimane successive.

Anche in questi giorni, le rilevazioni dell’Istituto Piepoli dicono che a non essere disponibile alla vaccinazione è circa il 15% dei non vaccinati, e di questi solo il 5% è apertamente contrario. I no-vax sono pochi, e non sono aumentati.

La sensazione, quindi, è che le fake news non siano in grado di modificare le opinioni di chi è disponibile a vaccinarsi e non spostano italiani dalle file di chi vuole a quelle di chi non vuole ricevere il siero.

Questo, naturalmente, non significa che le fake news non stiano danneggiando la lotta contro il covid. È probabile, infatti, che un dibattito che, soprattutto sui social, sembra fornire uguale dignità alle informazioni verificate e alle fake news abbia spinto qualcuno a ritardare un po’ la vaccinazione, prendendo tempo e “vedendo come va”.

(..)

Il dibattito tra favorevoli e contrari, a volte animato anche dalla politica, sta polarizzando le posizioni rischiando di cristallizzarle e rendendo sempre più difficile convincere i contrari. Chi è contrario è sempre più contrario ed è sempre più convinto delle proprie ragioni.

È così che si stanno rafforzando le convinzioni dei no-vax, fornendo loro un numero sempre maggiore di argomentazioni (praticamente sempre smentite nel giro di pochi minuti, ma intanto sempre disponibili e rilanciabili) e rappresentando anche questa battaglia, come tante altre viste in Italia, come un confronto tra Guelfi e Ghibellini, in cui entrambe le posizioni sono legittime e ci si confronta a tavola tra no-vax e pro-vax, prenotando rigorosamente all’aperto, dove il green pass non serve.

 

Leggi l’intero articolo di Livio Gigliuto su Agenda Digitale